Se la smart city è solo tecnologia, non garantisce la qualità della vita
Se la smart city è solo tecnologia, non garantisce la qualità della vita – E’ possibile che la smart city diventi così tecnologica da minare addirittura le basi stesse della fiducia dei suoi residenti nei confronti della tecnologia? Sembrerà un dubbio arcano, ma il tema è stato posto da alcuni ricercatori (il “Gruppo InfQ – Informatica Quantitativa”) che raccoglie più di 170 studiosi della comunità scientifica italiana attiva su aspetti di qualità di sistemi e servizi informatici. Alcuni di questi ricercatori hanno firmato un interessante articolo sulla rivista Wired, intitolato “I rischi di una smart city colabrodo”.
Quale il senso di una simile domanda?
I ricercatori paventano il pericolo che in una città iperconnessa, caratterizzata da un altissimo uso della tecnologia, l’elevato volume di dati prodotto da milioni di device possa mandare in blocco i sistemi di gestione dei servizi: telecomunicazioni, veicoli a guida automatica, accessi intelligenti a case e uffici, sistemi di distribuzione di luce e acqua, semafori, trasporto pubblico, e così via. Nella città del futuro, quella che già molti chiamano hyper city, tutto sarà connesso e interdipendente. Se il progresso non sarà accompagnato da opportune strategie di gestione e controllo durante il progetto, lo sviluppo, la messa in esercizio e le fasi operative e di manutenzione dei sistemi in questione – dicono i ricercatori – sarà possibile che un eventuale sovraccarico dei data center che ospitano i servizi possa portare a guasti e malfunzionamenti a catena. Tutto molto complesso a prima vista, ma in realtà già abbondantemente possibile: si pensi ai vari crash di sistema nei molti click day che si sono recentemente susseguiti.
Chi ne paga le spese, si chiedono i ricercatori?
Ovviamente gli utenti finali, ossia i cittadini, i quali potrebbero interrogarsi sull’affidabilità di tanta fragile tecnologia. Come si rimedia? “Progettando, realizzando, manutenendo e verificando servizi e sistemi digitali di qualità – si legge nell’articolo – Il concetto di qualità non riguarda solo l’efficienza di un sistema nel breve periodo, ma va ben oltre. Aspetti come la resilienza, ossia la capacità di adattarsi al cambiamento e, in particolare, la sostenibilità, ovvero la capacità di mantenere il sistema ad un certo livello nel lungo periodo, assumono significato ed importanza sempre crescente”. La comunità di ricerca studia metodi, tecniche e strumenti per analizzare la qualità di servizi e sistemi in tutte le fasi del loro ciclo di vita, partendo proprio dalla progettazione, introducendo come esigenza primaria la qualità e portando ad un approccio quality by design.
L’unico fine deve essere migliorare la qualità della vita
“Occorre sgombrare il campo da un equivoco: non è l’uso pervasivo della tecnologia a rendere smart una città – è il commento di Luigi Borré, presidente di EuroMilano – La smart city discende piuttosto dall’uso intelligente e consapevole della tecnologia per soddisfare meglio ed in modo più efficiente le esigenze dei suoi cittadini. In altri termini, ciò che conta non è l’adozione della tecnologia fine a se stessa, ma l’impiego di questa nella misura utile a migliorare il benessere degli individui e delle comunità. Mi pare che quanto messo in luce dagli studiosi che hanno firmato l’articolo di Wired sia proprio questo. Si tratta di una concezione nella quale EuroMilano si riconosce profondamente e che comporta l’evoluzione ed il superamento della stessa nozione di smart city, verso l’idea di wellbeing city”.