Le città alla sfida della pandemia – Report della tavola rotonda
Le città alla sfida della pandemia – E’ questo il titolo della tavola rotonda online che EuroMilano e ISPI, partner del Programma Global Cities, hanno promosso insieme lo scorso 12 maggio (qui la registrazione integrale).
Nella lotta contro gli effetti della pandemia, i governi nazionali sembrano concentrare la loro attenzione esclusivamente sulle questioni di politica interna. Senza dubbio il ruolo delle città è fondamentale per affrontare la crisi attuale. L’emergenza mette gli amministratori e la politica locale di fronte a domande e chiede soluzioni inedite. Saranno in grado le città di fare la differenza nell’età di Covid-19? Dalla mobilità alle disuguaglianze alle infrastrutture, quali risposte politiche possono essere fornite a livello locale? Le reti tra città possono offrire nuove opportunità di cooperazione internazionale e contribuire ad aumentare la loro azione?
A queste domande hanno dato le prime risposte un panel di relatori internazionali che si sono confrontati sul tema da prospettive diverse.
Luigi Borré, presidente di EuroMilano
Ad aprire la tavola rotonda è stato il Presidente di EuroMilano, Luigi Borré, che ha posto anzitutto una questione di prospettiva: “Quando si ragiona sull’evoluzione delle città – a maggior ragione di quello delle global cities – l’orizzonte temporale non può che essere quello di lungo termine. Questo comporta che, anche in relazione alla pandemia, non bisogna farsi condizionare dall’emergenza, ma dagli esiti permanenti che questa lascerà”.
Borré ha proseguito citando alcune soluzioni emerse dal dibattito, quali quella del ritorno verso i piccoli centri cittadini e i borghi isolati o quella della riorganizzazione in distretti urbani autosufficienti, una sorta di autarchia dei distretti, con tutti i servizi raggiungibili a piedi in 15 minuti.
Diversa la prospettiva del Presidente di EuroMilano che ha richiamato il fatto che la distribuzione sul territorio di insediamenti urbani (sviluppo orizzontale) comporta inevitabilmente l’espansione della cementificazione sulla superficie terrestre.
L’autarchia dei quartieri rischia di frammentare l’intangibile delle grandi città che consiste anche nell’essere sistemi integrati.
Il forzato massivo ricorso allo smart-working e i suoi benefici sono una lezione per il futuro. Da questo sono già emerse esigenze nuove e un potenziale spostamento di volumi immobiliari dal segmento uffici a quello residenziale. Questo porta alla necessità di progettare e realizzare distretti, edifici e abitazioni dotati di tutti i servizi utili alla salute, al benessere e al comfort degli abitanti.
Sta alle municipalità, in dialogo con gli operatori pubblici, privati e i professionisti creare le precondizioni e accelerare il processo.
Agustí Fernández de Losada, Direttore di CIDOB-Global Cities Programme (Barcellona)
Sollecitato da Antonio Villafranca (ISPI), moderatore della tavola rotonda, a esprimersi in merito a quanto lo sviluppo di reti internazionali tra le città possa essere accelerato o rallentato da governi nazionali rivolti prevalentemente verso il loro interno, Agustí Fernández de Losada, Direttore di CIDOB-Global Cities Programme (Barcellona) non ha dubbi circa l’opportunità offerta dalla pandemia di rinforzare quel processo che già si era avviato per impulso degli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 e che mette le grandi città al centro della definizione di un quadro politico globale in grado di affrontare le grandi sfide del pianeta. “Le città non possono essere lasciate sole” sottolinea lo studioso. Questa è una crisi universale che ignora i confini e richiede risposte collettive. Tali risposte devono essere globali. Le città sono di fronte ad un’importante occasione per introdurre cambiamenti di paradigma, la front-line di investimenti pubblici capaci di implementare nuovi sistemi urbani, innovativi modelli di turismo, transizione digitale.
Le strategie che guidano le diplomazie delle città non solo non dovranno essere bloccata, anzi riceveranno nuova spinta dalle sfide poste dall’emergenza pandemica.
Tony Pipa, Senior Fellow Brookings Institution (Washington, USA)
Originale il contributo di Tony Pipa, Brookings Institution (Washington, USA), sollecitato dal moderatore ad evidenziare analogie e differenze con altri eventi catastrofici di cui lo studioso si è occupato, in particolare con l’uragano Katrina che ha colpito New Orleans nel 2005. Secondo Pipa la crisi del COVID 19 si distingue da molte altre crisi del recente passato per il fatto che non ha colpito uno specifico territorio o singoli settori, ma si è distribuito a livello globale senza grandi differenze.
Se in episodi di crisi passati la soluzione è stata spesso fondata sull’unione, anche di collaborazione materiale e fisica tra le persone, oggi la necessità di distanziamento sociale determina differenze anche psicologiche.
Similmente ad altri fenomeni di crisi, però, il rischio è che il COVID colpisca in modo più duro e duraturo proprio i segmenti che già sono più deboli e, per questo, meno in grado di accedere a rimedi che li proteggano dalla pandemia.
Occorre pensare ad un modello che guardi attentamente alle necessità degli strati più deboli, anche nel momento in cui le risorse vengono allocate. Questo non è un processo che accade in modo spontaneo, ma deve essere perseguito in modo determinato. Anche i modelli di governance post COVID devono essere pensati in modo tale da diventare delle piattaforme di confronto tra tutte le componenti della società civile.
Lo sviluppo sostenibile si esprime in diverse dimensioni: sviluppo umano, sociale, ambientale, economico. Le priorità nell’allocazione delle risorse devono essere date in funzione degli interventi che massimizzano i risultati su tutte queste dimensioni contemporaneamente.
Uno dei paradossi della crisi di oggi è che, a dispetto della sua scala globale, gli organismi che devono occuparsi della collaborazione globale tra stati e paesi hanno mostrato una risposta più debole. Al contrario, si è assistito ad una migliore collaborazione globale tra gli organismi locali delle città. L’augurio è che con il tempo si possa sviluppare una migliore collaborazione anche tra organismi che interagiscono a livello sovranazionale. Questo deve derivare dalla presa di coscienza del fatto che siamo una comunità globale.
Penny Abeywardena, Commissaria del Dipartimento di Affari internazionali di New York City (USA)
Penny Abeywardena, Commissaria del Dipartimento di Affari internazionali di New York City (USA) ha concentrato il suo intervento sulla gestione dell’emergenza sanitaria a NYC, tutt’ora epicentro della pandemia negli Stati Uniti. In particolare si è soffermata sull’azione dell’amministrazione locale e sull’attivazione straordinaria di cooperazione che si è generata tra i governatori dei singoli stati federali, grazie ai cui tempestivi e massicci invii di presidi sanitari e medici e personale di supporto è stato possibile affrontare la drammatica emergenza che ha investito e travolto la città.
E tutto ciò è avvenuto in autonomia, anzi in contrasto con le poche e lacunose indicazioni del governo federale, che invece ha letteralmente abdicato alle sue responsabilità.
Ciò che sta accadendo in termini di solidarietà tra le città è l’esito di un processo di cooperazione e collaborazione che ha preso forma già a partire dal 2017, quando l’amministrazione Trump ha annunciato la fuoriuscita dagli accordi di Parigi sul clima. Il Covid-19 è diventato un ulteriore campo d’azione e sta dimostrando come la rete internazionale costituita dalle città globali sia una risposta efficace alle questioni urgenti rispetto alle quali i governi centrali poco stanno facendo o, peggio, su cui hanno completamente disinvestito.
E’ una lezione fondamentale quella che la città di New York e la rete di città collegate sta apprendendo dall’emergenza Covid-19: le fasce di popolazione che saranno maggiormente penalizzate dal virus sono quelle già svantaggiate e la pandemia sarà un ulteriore motivo per implementare e accelerare gli obiettivi posti dall’Agenda 2030 sulla sostenibilità urbana.
Tutto dovrà essere ri-immaginato, dice il Commissario, e deve essere ri-immaginato in un modo che includa tutti i goals verso cui stavamo già puntando, ossia il cambiamento climatico, il superamento delle disuguaglianze, la tutela e la salvaguardia della salute pubblica. E’ un processo di ricostruzione e la situazione drammatica che si è creata deve essere colta come l’opportunità di ricostruire meglio di come era prima, soprattutto per le fasce più deboli e vulnerabili nelle nostre comunità.
Tobia Zevi, ricercatore del Programma Global Cities di ISPI
A chiudere il giro di interventi è stato Tobia Zevi, ricercatore del Programma Global Cities di ISPI. Tre, secondo Zevi, le grandi sfide che attendono le città all’indomani della pandemia. La prima sarà come affrontare la transizione ecologica in seguito a questo periodo. Grazie allo smart-working avremo una riduzione del traffico e questa sarà una grande opportunità per ridurre l’inquinamento e incoraggiare forme di mobilità sostenibili. Di contro, però le difficoltà del trasporto pubblico potrebbero causare l’aumento del traffico privato. Se la prospettiva non è certa, la riduzione dell’inquinamento atmosferico deve restare una priorità.
Il secondo punto individuato da Zevi è la necessità di ridurre la disuguaglianza sociale. Possiamo senz’altro dire che il virus sia molto più democratico di altre catastrofi vissute finora. Alcuni luoghi come le case di cura per anziani e le prigioni posso diventare luoghi molto pericolosi per tutti, ma le città non possono essere divise in zone rosse e con invisibili confini sociali. Il virus non chiede alcun permesso e non paga il biglietto del bus. Esso va considerato come una grande opportunità per ripensare le città e combattere la povertà urbana, come del resto ci chiede il primo SDG dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Una città in salute, dunque, non si riferisce ai soli ospedali.
La terza sfida riguarda l’era digitale. Abbiamo appreso in questi due mesi quante cose possiamo fare da casa rimanendo connessi. La domanda è: a chi appartiene il potere che deriva dalla gestione dei dati prodotti? Come vengono gestiti i dati prodotti da questa rivoluzione digitale? Alcune città come Barcellona e Amsterdam hanno creato piattaforme aperte. Le smart city sono grandi contenitori di dati, che devono rimanere spazi pubblici. Il Covid sta ponendo molte sfide alle città globali, ma queste devono essere trasformate in opportunità e continuare a spingere verso un mondo sostenibile, verso città ecologiche, più eque dal punto di vista sociale e, non ultimo, verso cittadini più consapevoli.
Nella foto un’insolita piazza Duomo a Milano, completamente svuotata dei suoi abituali frequentatori. Foto di Andrea Cherchi.