Con Gregotti se ne va un pezzo dell’architettura italiana
Con Gregotti se ne va un pezzo dell’architettura italiana – Nonostante si fosse ritirato a vita privata da qualche anno, Vittorio Gregotti era rimasto un punto di riferimento per l’architettura italiana.
Dal Politecnico al mondo, passando per Casabella
Nato a Novara nel 1927 si era formato al Politecnico di Milano sotto l’insegnamento di Ernesto Nathan Rogers, che lo aveva poi voluto con sé a Casabella, di cui lo stesso Gregotti divenne in seguito direttore.Tra i progetti più importanti da lui realizzati emerge senza dubbio il piano di sviluppo del quartiere della Bicocca di Milano (1985-2005), ma la sua maestria lo portò a realizzare anche il Centro Cultural de Belem a Lisbona 1988-1993) e il teatro lirico di Aix-en-Provence (2003-2007). Nel 1975 aveva curato la Biennale di Venezia, la prima in cui l’architettura fece la propria comparsa.
Il ricordo di Fulvio Irace
Così lo ricorda Fulvio Irace sol Sole 24Ore: “Rogers sosteneva la necessità per un architetto di essere innanzitutto un intellettuale: un uomo di cultura, ovviamente, ma, ancora di più, consapevole dell’importanza dell’impegno, parola chiave per tutta l’intellighenzia di sinistra all’alba del secondo dopoguerra. Impegno implicava testimoniare con le parole e le cose l’adesione alla modernità: non quella fondata sull’esasperazione tecnica che si era infranta sulle barricate della Guerra Mondiale, ma quella affidata alla collaborazione con le arti e con il pensiero e votata a una vocazione sociale che comportava il dovere dell’architetto di rinunciare a un parte di sé per rappresentare la comunità”.
Le parole di Cino Zucchi
Sul suo ruolo intellettuale è Cino Zucchi, su The brief, a spendere altre parole di elogio: “Gli articoli di giornale e i saggi da lui scritti negli ultimi quindici anni hanno cercato di metterci in guardia dall’uso tutto strumentale e sovrastrutturale che il sistema immobiliare fa di architetture ad alto tasso iconico e spettacolare, e questo è forse una delle cause principali di una sua progressiva distanza dalla cronaca contemporanea”.